Una nazione ricorda: La commemorazione del 15 luglio in Turchia è in equilibrio tra memoria, messaggio e statistica – RAPPORTO FOTOGRAFICO

Di Eleonora Jobst, Ankara & Istanbul

Nel cuore di Ankara, in un’umida mattina di luglio, sotto un cielo temperato da una forte foschia estiva, la Turchia si è nuovamente rivolta verso l’interno, riflettendo sulla traumatica notte del 15 luglio 2016, quando un violento tentativo di colpo di Stato militare ha sconvolto il Paese, paralizzato la sua capitale e causato la morte di oltre 300 persone e il ferimento di altre migliaia. A quasi un decennio di distanza, il ricordo rimane crudo, vivido e politicamente potente.

Su invito della Direzione delle Comunicazioni della Repubblica di Türkiye, il Daily News Hungary si è unito a più di 120 giornalisti provenienti da 41 Paesi per un programma di tre giorni in occasione del nono anniversario del fallito colpo di Stato. L’evento – distribuito tra Ankara e Istanbul – è stato in parti uguali commemorativo, messaggio e diplomazia mediatica. Sebbene il tono sia stato a volte molto curato, lo sforzo commemorativo ha fornito un accesso raro alle istituzioni chiave e l’opportunità di osservare come una nazione racconta un punto di svolta che considera fondamentale per la sua identità moderna.

Una notte impressa nella memoria collettiva

Il fallito colpo di Stato del 15 luglio 2016 è ricordato in Turchia non solo come una presa di potere, ma come una rottura – un momento in cui la democrazia stessa, secondo il governo, era sull’orlo dell’annientamento. Nella narrazione ufficiale dello Stato, l’Organizzazione Terroristica Fetullah (FETÖ) era dietro l’attentato, con l’obiettivo di destabilizzare il governo civile e di prendere il potere attraverso l’infiltrazione dell’esercito e della magistratura.

Questi temi si sono intrecciati durante la nostra visita al Museo della Democrazia del 15 luglio, situato all’interno del Complesso Presidenziale di Ankara – uno spazio che fonde l’austerità modernista con la solenne riverenza nazionale. Il museo presenta un resoconto viscerale, a volte sconvolgente, del tentativo di colpo di stato: fotografie di civili che affrontano i carri armati, filmati di telefoni cellulari e telecamere di sicurezza, ed effetti personali delle persone decedute – fedi nuziali, vestiti insanguinati, giocattoli per bambini – servono tutti a sottolineare il tributo umano.

La sicurezza rimane pesante presso il Complesso Presidenziale – nessun aereo, civile o militare, è autorizzato a sorvolarlo. In effetti, durante tutto il viaggio, l’aumento della presenza di sicurezza è stato uno sfondo evidente, un promemoria del fatto che il trauma del 2016 ha lasciato eredità strutturali e psicologiche.

Parlamento in riflessione, non in raduno

Nel corso della giornata, presso la Grande Assemblea Nazionale, il Presidente Recep Tayyip Erdoğan si è rivolto al Paese con un discorso breve e sobrio, pronunciato dopo la recita di una preghiera coranica. A differenza degli anni precedenti, in cui i discorsi infuocati si protraevano spesso ben oltre la soglia dell’ora, il discorso di quest’anno si è distinto per la sua brevità: poco meno di 15 minuti.

E sebbene il simbolismo della sede sia chiaro – il Parlamento era tra i luoghi bombardati durante il tentativo di colpo di Stato – la partecipazione di quest’anno è stata notevolmente scarsa. File di sedili vuoti caratterizzavano l’aula, in particolare nelle prime file designate per i membri della magistratura, gli alti esponenti del mondo degli affari e i diplomatici stranieri. Tra i partecipanti si sono sentiti mormorii per l’assenza di alcune figure politiche e istituzionali, che hanno sottilmente sottolineato un’atmosfera altrimenti solenne. Tuttavia, il messaggio del Presidente turco è stato trasmesso in modo chiaro.

“L‘epopea del 15 luglio“, ha dichiarato Erdoğan, “è il trionfo delle mani nude su carri armati, aerei e bombe“.

Il suo tono ha mescolato l’omaggio religioso con l’orgoglio nazionale, tornando ripetutamente all’idea dell’unità e della volontà inflessibile del popolo di fronte a una minaccia esistenziale.

Per leggere il nostro resoconto dettagliato sul discorso del 15 luglio del Presidente Erdoğan, clicchi QUI.

Analizzare il passato per garantire il futuro

Il 16 luglio, l’attenzione si è rivolta ad una serie di tavole rotonde ospitate dalla Direzione delle Comunicazioni sul tema “Memoria, Giustizia e Futuro” – un triangolo concettuale che inquadra gli sforzi della Turchia non solo per ricordare il colpo di Stato, ma anche per posizionarsi come una democrazia forgiata nella crisi.

Il Prof. Burhanettin Duran, Capo della Comunicazione della Presidenza, ha aperto i lavori con una candida riflessione personale. Ha ricordato il momento in cui lui e sua moglie hanno lasciato la loro casa ad Ankara la notte del colpo di Stato – nonostante gli avvertimenti di amici e vicini – per assistere allo svolgersi della storia. Ha parlato con convinzione dell’importanza di preservare la memoria del 15 luglio, anche trasmettendola alla prossima generazione; la sera precedente, ha detto, aveva spiegato gli eventi alla figlia di otto anni.

Solo quest’anno sono stati presentati più di 11.000 progetti commemorativi in tutta la Turchia, tra cui concorsi di pittura per studenti ed eventi civici, sottolineando il grado di radicamento del 15 luglio nella memoria pubblica del Paese, in particolare nei settori educativo e culturale.

Il messaggio di Duran è stato chiaro: la Turchia non è lo stesso Paese del 2016. Nelle sue parole, è emersa “più forte, più vigile e più democratica”, con la sicurezza ricalibrata e le sue istituzioni che stanno subendo quella che ha definito una “massiccia trasformazione”. Ha anche sottolineato la misura in cui la Türkiye si vede ora come un “pioniere di un ordine internazionale incentrato sull’uomo”.

Il quadro del Vicepresidente: memoria, giustizia e unità

Il Vicepresidente Dr. Cevdet Yılmaz, in un discorso successivo, ha offerto una valutazione più sobria. Rivolgendosi ai media locali e internazionali, ha presentato una riflessione ponderata sulla memoria collettiva delle nazioni. “Una nazione senza memoria”, ha avvertito, “è come una persona con un’amnesia. Non può avere giustizia, né può costruire un futuro stabile”.

Yılmaz non ha evitato di mettere in discussione gli eventi del passato. Ha sostenuto che l’incapacità di esaminare e comprendere adeguatamente la serie di colpi di Stato a partire dagli anni ’60 ha creato una sorta di fragilità democratica, un’incapacità di anticipare e affrontare minacce antidemocratiche come FETÖ.

Se avessimo studiato il nostro passato in modo più approfondito“, ha osservato il Vicepresidente, “forse avremmo potuto evitare la tragedia del 2016″.

La sua delusione, tuttavia, è stata riservata soprattutto ai media internazionali che, a suo avviso, non hanno saputo descrivere gli eventi del 15 luglio con le sfumature e l’accuratezza che meritavano. Pur elogiando i media nazionali della Türkiye per la loro posizione democratica, ha lamentato l’apparente indifferenza – o, peggio, lo scetticismo – della stampa mondiale nei confronti di quella che molti in Türkiye considerano una delle notti più importanti della loro storia repubblicana.

La resistenza civile e il potere della leadership

La sessione finale della giornata ha riunito un’impressionante schiera di relatori sotto il titolo: “Difendere la democrazia: Il potere della resistenza civile”.

Presieduta dal Prof. Assoc. İsmail Çağlar, la discussione ha visto la partecipazione di alti parlamentari, funzionari pubblici e giornalisti – tra cui Bekir Bozdağ, Salih Tanrıkulu, Hande Fırat e il Prof. Assoc. Nebi MİŞ.

La sessione ha cercato di contestualizzare il successo del 15 luglio alla luce dell’azione dei cittadini e della leadership politica. È stata offerta un’analogia particolarmente vivida, prendendo spunto da un detto turco:

“Se il leader si nasconde dietro il pino, lo farà anche la nazione. Ma se resta fermo, anche il popolo resterà in piedi”.

L’implicazione era chiara: se Erdoğan avesse vacillato, lo avrebbe fatto anche la nazione. Invece, la sua chiamata FaceTime a tarda notte a un conduttore televisivo – che esortava i cittadini a resistere – è ampiamente accreditata per aver galvanizzato l’opposizione nazionale ai cospiratori del colpo di Stato.

Istanbul: la memoria al bivio

Il tour commemorativo è proseguito a Istanbul, dove una visita al Museo della Memoria del 15 luglio ha offerto un resoconto storico più ampio e più riflessivo. Il museo non si concentra esclusivamente sul colpo di Stato del 2016, ma cerca di tracciare una linea di interventi militari, sia in Turchia che al di fuori, collocando il 15 luglio all’interno di una narrazione più ampia sulla sovranità, il controllo civile e la legittimità popolare.

Curato dall’architetto Hilmi Şenalp, il museo comprende mostre multimediali, testimonianze personali e ricostruzioni di momenti chiave. Un filmato, visto in quasi silenzio dal nostro gruppo internazionale, ha mostrato il dramma umano del 15 luglio da molteplici prospettive: famiglie che cercano i propri cari negli ospedali, civili che si confrontano con i soldati, sopravvissuti che raccontano il momento in cui sono stati colpiti o arrestati.

La giornata si è conclusa con una visita al Governatorato di Istanbul, dove il Governatore Davut Gül ha parlato alla delegazione riunita. Ha parlato di una nuova atmosfera di “pace, fratellanza e prosperità” e ha espresso la speranza che il secondo secolo della Repubblica di Türkiye sia costruito non sulla divisione etnica o settaria, ma su uno scopo nazionale condiviso.

Le osservazioni del Governatore Gül si sono presto trasformate in avvertimenti. Ha sottolineato che la minaccia rappresentata da FETÖ, l’organizzazione terroristica accusata di aver orchestrato il colpo di Stato del 2016, non si limita a un singolo evento storico. Ha affermato che i suoi agenti si sono infiltrati per anni nelle istituzioni chiave della società turca, dal sistema giudiziario ed educativo alle banche, alle società di telecomunicazioni e ai media. Ha avvertito che tali minacce possono operare in modo occulto, a volte anche travestendosi da organizzazioni non governative (ONG) legittime.

Il Governatore ha anche espresso il timore che modelli simili di infiltrazione possano verificarsi all’estero, avvertendo che i membri della rete FETÖ spesso sfruttano la fiducia, il sentimento religioso e le lacune istituzionali per estendere la loro portata. “Sono molto subdoli“, ha detto. “Non si annunciano. Usano la religione per ottenere influenza“.

Questo punto ha portato direttamente a una riflessione più ampia sul ruolo della religione nella società turca. Lungi dal considerarla una forza divisiva, il Governatore ha sostenuto che la religione è stata strumentalizzata da FETÖ per ottenere legittimità e accesso, avvertendo che tale manipolazione non deve essere confusa con una fede autentica. Ha sottolineato la necessità di preservare e proteggere l’integrità del vero credo, tracciando una linea di demarcazione tra valori spirituali e opportunismo settario. L’implicazione era chiara: la religione in Turchia non è il problema – ma l’abuso della religione, politicizzata e mascherata, rimane una vulnerabilità nazionale.

C’è stata anche una discussione aperta – anche se accuratamente inquadrata – sulle dimensioni internazionali delle operazioni del gruppo. Un membro del pubblico ha fatto notare che il leader in esilio di FETÖ, Fetullah Gülen, ha continuato a risiedere negli Stati Uniti fino alla sua morte, sollevando sospetti di lunga data sulla complicità straniera. “Non può averlo fatto da solo“, ha detto il membro del pubblico, alludendo alle condizioni politiche durante l’amministrazione Obama, ma senza arrivare ad un’accusa diretta. Alla domanda sul perché la Turchia non si confronta più apertamente con i suoi alleati occidentali su questo punto, la risposta è stata brusca ma eloquente: “Non possiamo fidarci degli altri Paesi. Se non ci sostengono, dobbiamo proteggerci”.

Il futuro della Turchia plasmato dal suo passato

Mentre la Türkiye si avvia verso il suo secondo secolo, è chiaro che il 15 luglio è diventato un punto di riferimento fondamentale. Quella notte non è stata inserita solo nei monumenti e nei musei, ma anche nella retorica di Stato, nei programmi scolastici, nelle narrazioni dei media e nella coscienza pubblica.

Ma rimangono delle domande. Fino a che punto la memoria istituzionale esclude le interpretazioni alternative? L’enfasi dello Stato sull’unità può essere conciliata con la diversità di opinioni? E come fa la Turchia a bilanciare il ricordo con l’apertura, la resilienza democratica con la necessaria sicurezza?

Dall’aula del parlamento di Ankara, sfregiata dalle bombe, ai briefing sul lungofiume di Istanbul, il programma di commemorazione ha offerto approfondimenti non solo sul passato della Turchia, ma anche sul modo in cui desidera plasmare il suo futuro – definito dalla vigilanza, forgiato dal trauma e articolato con un senso deliberato di missione storica.

Come ha detto Erdoğan nel suo discorso: “I sacrifici dei nostri martiri non sono mai stati e non saranno mai vani“. Indipendentemente dal fatto che la comunità internazionale sia d’accordo con ogni elemento di tale inquadramento, la determinazione della Turchia a plasmare le sue narrazioni è evidente – e inequivocabilmente risoluta.

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