Op-ed: Perché Israele potrebbe colpire di nuovo l’Iran – e cosa cerca veramente di ottenere

La recente guerra di 12 giorni tra Israele e la Repubblica Islamica dell’Iran (IRI) ha segnato una svolta importante nell’ordine di sicurezza in evoluzione del Medio Oriente. Molti analisti regionali la descrivono come una “guerra per la sopravvivenza” – un conflitto dettato dall’identità e inquadrato come un gioco a somma zero, dove la vittoria di una parte implica la distruzione dell’altra. Sebbene i due avversari stiano ora osservando una “fragile tregua“, essa assomiglia più a una “pace armata” che a una vera stabilità. Prove sempre più evidenti suggeriscono che Israele sta preparando un’altra serie di attacchi contro l’Iran, anche dopo che Washington ha affermato di aver neutralizzato l’infrastruttura nucleare di Teheran. Ciò solleva una domanda importante: perché Israele dovrebbe cercare di colpire nuovamente l’Iran se la minaccia nucleare è stata contenuta?

Per rispondere a questa domanda, è necessario riesaminare due presupposti ampiamente diffusi. In primo luogo, che l’Iran sia inevitabilmente sulla via dell’acquisizione di un’arma nucleare. In secondo luogo, che gli attacchi di Israele siano stati preventivi e mirati a prevenire un tale esito.

Per anni, sia gli analisti occidentali che quelli iraniani hanno insistito sul fatto che Teheran possiede la capacità tecnica di costruire una bomba ed è a pochi mesi dal farlo. Questa narrazione ha guadagnato slancio dopo che i funzionari iraniani hanno annunciato l’arricchimento dell’uranio al 60 percento. Kamal Kharrazi, un consigliere di Ali Khamenei, ha affermato nel giugno 2022 che: “In pochi giorni, abbiamo aumentato il livello di arricchimento dell’uranio dal 20 al 60 per cento, e può essere facilmente portato al 90 per cento”. Tuttavia, nessuno ha spiegato in modo convincente perché l’Iran si sia astenuto dal superare la soglia, sia per limitazioni tecniche che per paura delle sanzioni.

La realtà è altrove: Il veto strategico di Mosca. La Russia, non Washington, è il principale vincolo esterno alle ambizioni nucleari dell’Iran. Mosca si è sempre opposta a un Iran dotato di armi nucleari, in parte a causa del suo stretto coordinamento con Israele e in parte per la sua riluttanza a tollerare un’altra potenza nucleare all’interno della sua sfera di influenza regionale. Teheran ha usato a lungo il suo status di “soglia nucleare” come merce di scambio per ottenere concessioni dall’Occidente, non come un percorso immediato verso l’armamento. In altre parole, la questione nucleare è stata uno strumento diplomatico, non un vero obiettivo militare.

La politica estera dell’Iran è stata a lungo plasmata dall’esigenza – la mancanza di alternative valide – che ha portato a un’eccessiva dipendenza da Mosca e Pechino. Teheran vedeva la Russia come un alleato strategico in grado di fornire protezione politica, militare e diplomatica contro gli Stati Uniti. Tuttavia, per Mosca, l’Iran è sempre stato un partner tattico, non strategico. Il rifiuto della Russia di porre il veto alle sanzioni dell’ONU per due decenni e il coordinamento dei servizi segreti con Israele in Siria illustrano entrambi questa realtà.

Secondo diversi ex comandanti dell’IRGC, gli attacchi aerei israeliani in Siria sono stati spesso facilitati dall’intelligence russa. Più di recente, Mohammad Sadr, membro del Consiglio di Discernimento dell’Opportunità iraniana, ha affermato che la Russia ha persino condiviso l’intelligence con Israele durante la guerra dei 12 giorni. In quest’ottica, il mancato sviluppo di un’arma nucleare da parte dell’Iran non ha mai riguardato la paura delle ritorsioni occidentali, ma le linee rosse di Mosca.

Pertanto, se l’Iran non possiede una bomba nucleare e i suoi siti nucleari sono già stati distrutti, cosa motiva la nuova aggressione di Tel Aviv?

La risposta sta nell’identità, nella deterrenza e nell’egemonia. Per decenni, Israele e la Repubblica Islamica si sono definiti reciprocamente come una“minaccia esistenziale“. La loro rivalità trascende la deterrenza convenzionale e si è evoluta in quello che potrebbe essere descritto come omni-bilanciamento, unostato di confronto perpetuo attraverso dimensioni politiche, ideologiche e militari.

L’ultimo attacco israeliano ha preso di mira lanciatori di missili, basi aeree e infrastrutture militari convenzionali, non strutture nucleari. Tuttavia, anche questa spiegazione è incompleta. Israele ha colpito anche obiettivi non pericolosi, tra cui elicotteri della Mezzaluna Rossa ed elicotteri utilizzati contro gli insorti di confine, campi di addestramento di base e raffinerie di petrolio. Ciò suggerisce che l’obiettivo di Israele andava ben oltre l’autodifesa. Questo schema indica che la vera preoccupazione di Israele è la crescente capacità missilistica dell’Iran e il suo potenziale di proiettare potere (egemonia) nella regione.

In patria, il Primo Ministro Benjamin Netanyahu deve affrontare una profonda crisi politica e giudiziaria. Per lui, il conflitto continuo con l’Iran rappresenta sia una distrazione unificante che uno scudo contro la responsabilità interna. Nessun Paese cambia i propri leader politici in tempo di guerra; Netanyahu lo sa meglio di chiunque altro. Tuttavia, la motivazione più ampia è geopolitica. Gli attacchi di Israele all’Iran non sono solo atti di prelazione: sono passi verso il dominio regionale e il consolidamento del ruolo di Israele come ancora di sicurezza del Medio Oriente.

Sconfiggendo o riducendo le capacità iraniane, Israele cerca di dimostrare di poter gestire da solo la sicurezza regionale, di rafforzare la deterrenza e di segnalare a Washington e alle capitali arabe che rimane una potenza indispensabile. Si tratta di una questione di ottica globale tanto quanto di realtà sul campo di battaglia. Il messaggio di Israele è chiaro: non può essere distrutto e da solo ha la capacità di rimodellare l’architettura di sicurezza del Medio Oriente.

Sebbene sia difficile stabilire chi abbia “vinto” la guerra di 12 giorni, Israele sembra aver avuto la meglio nel dominio dell’informazione e della percezione. Le azioni di Teheran, in particolare l’attivazione del meccanismo di innesco e l’affidamento alla sola deterrenza militare, hanno indebolito la sua posizione. Definendo la deterrenza in termini puramente militari, l’Iran ha trascurato l’importanza della resilienza economica e sociale.

L’incapacità del regime di coinvolgere la propria popolazione come risorsa strategica ha creato una pericolosa fragilità interna. L’entità dell’emigrazione sottolinea questo punto: tra i 7 e i 10 milioni di iraniani vivono all’estero, una cifra approssimativamente pari alla popolazione totale di Israele. Questa erosione interna amplifica l’isolamento strategico dell’Iran, soprattutto perché Cina e Russia non forniscono un sostegno significativo.

Molti nella regione sospettano che gli attacchi del 7 ottobre siano serviti come un comodo pretesto per Israele per portare avanti obiettivi pianificati. E’ difficile credere che i servizi di intelligence israeliani, tra i più sofisticati al mondo, siano stati colti completamente alla sprovvista. Facendo leva sulla crisi, Israele è stato in grado di giustificare un’escalation militare, consolidare l’unità interna e rimodellare le alleanze regionali sotto la bandiera dell’antiterrorismo. La guerra che ne è derivata ha alterato radicalmente l’equilibrio regionale, isolando ulteriormente Teheran.

Ora, sentendosi abbandonato dai suoi partner orientali e accerchiato da vicini ostili, l’Iran potrebbe riconsiderare la sua moderazione nucleare come l’unica strada credibile per la deterrenza. Israele, ben consapevole di questa possibilità, si sta preparando per un altro attacco che, secondo i funzionari israeliani, sarà molto più devastante e decisivo di prima.

In conclusione, il Medio Oriente sta entrando in una nuova fase volatile, in cui la deterrenza, la percezione e la proiezione di potere stanno rapidamente convergendo. Il calcolo di Israele non riguarda più la sopravvivenza, ma la definizione dell’ordine regionale postbellico. Resta da vedere se la prossima offensiva di Tel Aviv raggiungerà questo obiettivo o scatenerà un’instabilità più ampia.

Ciò che è certo è che la guerra ombra tra Israele e Iran è entrata in un nuovo, imprevedibile capitolo – e la regione è ancora una volta sull’orlo della trasformazione. Se Israele colpirà di nuovo, non si limiterà a testare le difese dell’Iran, ma metterà alla prova l’efficacia della deterrenza in una regione in cui il dominio degli Stati Uniti sta svanendo.

Scritto da: Behrouz Ayaz

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