Scandaloso: La Slovacchia criminalizza la messa in discussione dei decreti Beneš, ossia la punizione collettiva degli ungheresi durante la Seconda Guerra Mondiale

Il Presidente slovacco Peter Pellegrini ha firmato un emendamento molto controverso al Codice Penale del Paese che rende un reato penale mettere pubblicamente in discussione i decreti Beneš del secondo dopoguerra, una mossa che ha scatenato critiche feroci da parte dei gruppi di minoranza ungheresi, dei partiti di opposizione e delle personalità politiche sia in Slovacchia che in Ungheria.
L’emendamento, approvato dal Parlamento slovacco all’inizio di questo mese e firmato in legge martedì, era originariamente destinato a inasprire le pene per i furti minori. Tuttavia, durante i dibattiti della commissione parlamentare, il disegno di legge è stato notevolmente ampliato per includere diverse nuove disposizioni. Secondo Telex, queste includono la criminalizzazione delle presunte interferenze straniere nelle campagne elettorali, la limitazione dell’uso delle testimonianze dei sospettati che collaborano – spesso definiti “testimoni pentiti” – e l’introduzione di sanzioni per chi nega o mette in discussione pubblicamente il quadro giuridico stabilito dai documenti di regolamento del dopoguerra, ampiamente inteso come riferimento ai decreti Beneš.
Il Presidente Pellegrini ha confermato di aver scelto di non porre il veto o di rinviare la legislazione per un riesame, nonostante le indicazioni precedenti che avrebbero potuto farlo. “Ho deciso di non rinviare l’emendamento al Parlamento per un ulteriore dibattito e di non esercitare il mio veto, ma di firmarlo nella forma approvata dalla legislatura”, ha detto, aggiungendo che la responsabilità della legge è del Governo e della maggioranza parlamentare che l’ha approvata.

Focus sui decreti Beneš
L’elemento più controverso dell’emendamento è la disposizione che rende punibile la messa in discussione dei decreti Beneš. I decreti, emessi nel 1945 dall’allora presidente cecoslovacco Edvard Beneš, gettarono le basi legali per la confisca delle proprietà e la punizione collettiva di tedeschi e ungheresi dopo la Seconda Guerra Mondiale. Sebbene le autorità slovacche sostengano spesso che i decreti non sono più in vigore, essi continuano ad essere citati in alcuni casi di confisca di proprietà, in particolare per quanto riguarda i terreni agricoli e le foreste.
In base alle nuove regole, negare o contestare pubblicamente la legittimità dell’insediamento postbellico potrebbe comportare un procedimento penale, con pene fino a sei mesi di carcere.
I critici sostengono che la disposizione soffoca effettivamente il dibattito storico e colpisce in modo sproporzionato la minoranza ungherese in Slovacchia, molti dei quali continuano ad affrontare controversie irrisolte sulle proprietà legate ai decreti.
La minoranza ungherese reagisce
Il partito della minoranza ungherese in Slovacchia, l’Alleanza Ungherese (Magyar Szövetség), è stato uno dei più accesi oppositori dell’emendamento. Il partito ha ripetutamente condannato la legge e recentemente ha organizzato una marcia di protesta con lo slogan “Marcia dell’innocenza”, per evidenziare ciò che considera una continua ingiustizia e discriminazione.
Dopo la decisione del Presidente Pellegrini di firmare la legge, il suo consigliere per gli affari delle minoranze, Krisztián Forró, si è dimesso dal suo incarico. Forró, ex leader dell’Alleanza Ungherese, aveva precedentemente dichiarato che si sarebbe dimesso se l’emendamento fosse diventato legge. Spiegando la sua decisione, ha detto che il servizio pubblico è accettabile per lui solo se rimane coerente con i suoi principi, tra cui la certezza del diritto, il rispetto reciproco e la dignità della comunità che rappresenta.
Il Presidente Pellegrini ha difeso l’emendamento, sostenendo che la questione è stata riaccesa da un partito di opposizione e ha contribuito all’aumento delle tensioni tra slovacchi e ungheresi. Ha insistito sul fatto che la legge non influisce sul diritto degli individui di difendere la loro proprietà in tribunale e ha sottolineato che i rimedi legali restano disponibili nei casi di confisca. Allo stesso tempo, ha affermato che i tentativi di mettere in discussione gli eventi storici in un modo che alimenta le tensioni sociali devono essere respinti.
Contraccolpo politico in patria e all’estero
L’emendamento ha attirato anche le critiche dei partiti di opposizione liberali e progressisti della Slovacchia, anche se in gran parte per altri motivi. Partiti come Libertà e Solidarietà (SaS) e Slovacchia Progressista hanno annunciato l’intenzione di impugnare la legge presso la Corte Costituzionale, concentrandosi principalmente sulle modifiche che riguardano i testimoni cooperanti piuttosto che la disposizione dei decreti Beneš.
In Ungheria, la questione ha suscitato reazioni politiche trasversali. Il Primo Ministro Viktor Orbán ha dichiarato in precedenza che erano in corso “colloqui chiarificatori” con il Governo slovacco per comprendere meglio le implicazioni della legge, aggiungendo che ulteriori passi dipenderanno dall’esito di tali colloqui.
L’esponente dell’opposizione ungherese Péter Magyar, leader del Partito Tisza, ha accusato il Governo ungherese di abbandonare gli ungheresi etnici all’estero. In un post sui social media, ha affermato che, mentre Orbán si presenta come un patriota, non è riuscito a proteggere le comunità ungheresi in Slovacchia, dopo quello che Magyar ha descritto come un fallimento simile per quanto riguarda gli ungheresi in Transilvania.
All’interno dei partiti di governo ungheresi, una delle reazioni più forti è stata quella di Zsolt Németh, presidente della commissione affari esteri del Parlamento ungherese. Ha descritto l’approccio della Slovacchia come inaccettabile e ha espresso solidarietà con l’Alleanza ungherese, sostenendo che le confische basate sui decreti Beneš rappresentano una discriminazione etnica incompatibile con i valori europei del 21° secolo.
Un’eredità sensibile
I decreti Beneš rimangono una delle questioni storiche più delicate dell’Europa centrale, in particolare nelle relazioni tra Slovacchia e Ungheria. La decisione del Presidente Pellegrini di firmare l’emendamento ha fatto sì che il dibattito sia tutt’altro che concluso: si prevede che le sfide legali, le discussioni diplomatiche e le proteste delle minoranze continueranno nei prossimi mesi.

