Op-ed: Il confronto silenzioso tra Washington e Mosca – Dall’Ucraina all’Iran

La decisione degli Stati Uniti di rinviare la consegna dei missili Tomahawk all’Ucraina è più di un ritardo logistico; segnala un ritorno della “logica classica del contenimento” nella politica delle grandi potenze. Questa mossa riflette un’intesa non scritta tra Washington e Mosca.
Sebbene sia ufficialmente giustificata come misura per evitare un’escalation diretta, le sue implicazioni si estendono oltre l’Europa, raggiungendo il Golfo Persico e, in particolare, l’Iran, dove Teheran monitora attentamente le mosse delle potenze globali. Sembra che gli Stati Uniti stiano delineando delle linee rosse che, al di là del teatro ucraino, inviano chiari messaggi per limitare il potere in Medio Oriente. Ma perché Washington ha rinviato la consegna dei missili Tomahawk all’Ucraina?
Le radici delle considerazioni di Washington possono essere rintracciate negli sviluppi relativi all’Iran. Il 16 ottobre, Ali Larijani, il nuovo capo del Consiglio Supremo di Sicurezza Nazionale iraniano, ha consegnato una lettera di Ali Khamenei a Putin. Secondo le interpretazioni del suo contenuto, la lettera richiedeva jet da combattimento Su-35 e sistemi di difesa missilistica S-400. Teheran considera queste acquisizioni come fondamentali per mantenere la deterrenza contro Israele. Qui Israele entra nell’equazione e Putin, facendo leva su questi strumenti militari, è stato in grado di influenzare la decisione di Washington in merito alla spedizione di Tomahawk in Ucraina.
Gli Stati Uniti cercano anche, limitando l’accesso dell’Ucraina a specifiche armi, di segnalare delle linee rosse alla Russia e di dimostrare che possiede ancora la volontà e la capacità di contenimento, evitando al contempo un impegno diretto nel conflitto. In effetti, la rinuncia di Washington ai Tomahawk esemplifica la “moderazione strategica” come strumento di pressione, dimostrando che l’autocontrollo deliberato può essere potente quanto la forza militare. Ciò riflette le regole non scritte della politica delle grandi potenze: mantenere l’influenza senza oltrepassare la soglia del confronto diretto. È questa sottigliezza che riproduce il fragile equilibrio della Guerra Fredda in forma contemporanea.
Nel frattempo, l’Iran si trova in una duplice posizione: da un lato, persegue una maggiore deterrenza attraverso i sistemi S-400 e i caccia Su-35 contro Israele; dall’altro, è intrappolato nei calcoli di Mosca, forse più che negli ultimi tre decenni. È ragionevole collegare l’incapacità dell’Iran di acquisire armi nucleari alle considerazioni del Cremlino nella geopolitica regionale e alla sua ferma opposizione in tal senso. Il ritardo della Russia nella consegna di questi sistemi e la sua resistenza al programma nucleare iraniano non sono né legali né tecnici; piuttosto, sono segni di “controllo attivo” su un partner più debole. Mosca, come Washington, impiega la politica di contenimento attraverso la cooperazione, mantenendo il suo partner nella speranza, ma trattenendo le capacità complete.
Per anni, la Russia ha cercato di mantenere l’Iran come un partner limitato e tattico su cui fare leva contro l’Occidente, in particolare gli Stati Uniti, impedendogli di sviluppare capacità pienamente indipendenti. Allo stesso modo, il comportamento degli Stati Uniti in Ucraina dimostra un modello condiviso di proiezione indiretta di potere. Putin sfrutta abilmente le tensioni tra Tel Aviv e Teheran, ad esempio, mantenendo l’Iran dipendente dalle attrezzature avanzate promesse mentre porta avanti le proprie operazioni militari in Ucraina sotto la copertura delle tensioni regionali, vendendo il suo petrolio e il suo gas a prezzi più alti e ritraendo l’Iran come un attore potenzialmente pericoloso per estorcere concessioni all’Occidente attraverso la leva diplomatica.
Per quanto riguarda la richiesta di Teheran di hardware militare avanzato, sembra che Putin, attraverso Netanyahu, sia riuscito a dissuadere Trump dall’inviare armi avanzate in Ucraina. Il suo messaggio è chiaro: qualsiasi consegna di armi avanzate all’Ucraina eliminerebbe la sua necessità di trattenere i Su-35 e gli S-400 a Teheran. In questo modo, l’indipendenza dell’Ucraina è limitata dalla guerra e quella dell’Iran dal “controllo calcolato”.
È evidente che, nelle relazioni internazionali, l'”indipendenza operativa” delle medie e piccole potenze regionali è limitata di fronte alle grandi potenze. L’Iran e l’Ucraina, anche quando sembrano agire in modo indipendente, rimangono confinati all’interno delle scelte consentite dalle potenze globali. Le potenze secondarie servono come strumenti di contenimento reciproco.
In conclusione, gli sviluppi in Ucraina e Iran e le decisioni di Washington e Mosca dimostrano che la gestione delle crisi ha sostituito la risoluzione delle crisi. Le grandi potenze, attraverso un controllo calcolato, contengono l’escalation diretta a loro vantaggio, ma questo contenimento avviene al costo della pressione e della dipendenza dagli Stati più piccoli.
Il rifiuto degli Stati Uniti di inviare i Tomahawk a Kiev e il ritardo della Russia nell’armare l’Iran rappresentano due facce della stessa realtà. Nel 21° secolo, il potere non sta nel colpire, ma nel trattenere deliberatamente. L’Ucraina e l’Iran di oggi sono entrambi vittime e riflessi di una realtà politica in cui l’indipendenza degli Stati non si misura in base al proprio potere, ma al grado di autonomia concesso dalle grandi potenze. In un mondo del genere, le linee rosse non sono tracciate sulle mappe, ma nella mente dei principali attori – dove la moderazione strategica è più significativa della guerra stessa.
Scritto da: Behrouz Ayaz
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